Decreto-legge 22 settembre 2006, n. 259, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 221 del 22 settembre 2006.  
Testo del decreto-legge
Testo del decreto-legge
comprendente le modificazioni apportate dal Senato della Repubblica
Disposizioni urgenti per il riordino della normativa in tema di intercettazioni telefoniche.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

        Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

        Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di adottare misure volte a rafforzare le misure di contrasto alla detenzione illegale di contenuti e dati relativi ad intercettazioni effettuate illecitamente, nonché ad informazioni illegalmente raccolte;

        Ritenuta altresì la straordinaria necessità ed urgenza di apprestare più incisive misure atte ad evitare l'indebita diffusione e comunicazione di dati od elementi concernenti conversazioni telefoniche o telematiche illecitamente intercettate o acquisite, nonché di informazioni illegalmente raccolte e, nel contempo, di garantire adeguate forme di indennizzo alle vittime di fatti illeciti in materia;

        Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 settembre 2006;

        Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro dell'interno e del Ministro della giustizia;

emana

il seguente decreto-legge:

Articolo 3.

Articolo 3.

        1. Chiunque illecitamente detiene gli atti o i documenti di cui all'articolo 240, comma 2, del codice di procedura penale, è punito con la pena della reclusione da sei mesi a sei anni.

        1. Chiunque consapevolmente detiene gli atti, i supporti o i documenti di cui sia stata disposta la distruzione ai sensi dell'articolo 240 del codice di procedura penale è punito con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni.

        2. Si applica la pena della reclusione da uno a sette anni se il fatto di cui al comma 1 è commesso da un pubblico ufficiale o da incaricato di pubblico servizio.         2. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni se il fatto di cui al comma 1 è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio.